autoscatto del team fotografico duzimage, composto da Paolo Corradeghini, Federico Gusso, David Umberto Zappa e Sebastiano Bongi Tomà .

Esperienze sul fronte

Un titolo altisonante per chi non si occupa di reportage di guerra: esperienze sul fronte, si perché spesso un servizio fotografico può tradursi in una vera battaglia.

Di recente ho avuto il piacere di realizzare una campagna pubblicitaria per un colosso della moda sportiva e dalla prima telefonata in poi, mi son messo l’elmetto, l’ho stretto forte sotto il mento e finché non é finita, ho dato il massimo.

Nonostante le macchine fotografiche di oggi facciano tutto da sole, nonostante mio cugino abbia fatto un corso serale settimana scorsa per potermi sostituire quando non posso fare un lavoro, e nonostante Photoshop sistemi tutto, dietro ad un servizio a più zeri c’è letteralmente una squadra di decine di persone ognuna con complicate mansioni organizzative, creative e tecniche.

Partito lo spettacolo non ci si ferma più: riunioni con il cliente, riunioni tra fotografo e direttore creativo e relativi assistenti, di uno e dell’altro perché tutti devono essere sulla stessa pagina… pagina che spesso viene voltata avanti ma anche indietro.

Location scouting con piano A e piano B perché forse Madre Natura potrebbe essersi distratta tra una riunione e l’altra e non ricordasi che vorremmo il sole. Google Earth, Google Maps, Google mail, Google Oki Task e già che ci siamo Google Taxi per andarci di persona su queste potenziali venti location.

Si ma il catering poi dove lo facciamo parcheggiare?

Stabilito il concept e mood del progetto si organizzano casting per i modelli provenienti da diverse agenzie cercando di mettere insieme un’efficace gruppo di ragazzi e ragazze che possano e riescano a dare un volto al marchio in questione. Valutare una persona da qualche scatto e circa 10 secondi di dialogo non é cosa facile, sia per loro, sia per chi appunto dovrà fare la scelta finale. In tutto questo il fotografo deve dire la sua.

Contemporaneamente si pensa all’attrezzatura da trovare, noleggiare e portare ed anche qui non c’è da prenderla troppo alla leggera perché a) non puoi portarti un camion di roba e b) se poi ti manca quell’ombrello od ottica vitale per la riuscita della foto che tu ed altre trenta persone a questo punto avete in mente?

Mi son dimenticato di spendere due righe sul tempo che il fotografo generalmente dedica alla meditazione per affrontare i propri Gremlins ed all’innumerevole quantità di specchi e superfici riflettenti davanti a cui svolge noiosi monologhi motivazionali. Generalmente i fotografi sono molto, ma molto insicuri anche se davanti al cliente si muovono come Mick Jagger.

Riemergo dagli abissi della psiche del fotografo.

Il circo di persone che spesso va dalle 30 alle 60 persone tutte dietro le spalle del fotografo, che il giorno del servizio si trasforma in prima ballerina, include anche gli assistenti di quest’ultimo povero cristo. Sento già il vostro “ehhh vabbé dai…

Un bravo fotografo, anzi, un fotografo non può essere bravo se non si circonda del suo personale Dream Team stile USA 1992 con degli sconosciuti tipo: Laettner, Robinson, Ewing, Bird (l’uccello più famoso d’America), Pippen, Jordan, Drexler, Malone, Stockton, Mullin, Barkley e Johonson (di nome Magic).
Noi non eravamo in canottiera, ma non avrei potuto chiedere di meglio accanto a me: Corradeghini alle luci, Bongi Tomà digital e Gusso assistente personale. Quando le persone che ti assistono sanno già di cosa avrai bisogno e quando, prima ancora che tu senta il bisogno, sai che se il lavoro andrà bene sarà perché la prima ballerina in realtà é una shooting guard a cui hanno fatto una serie di assists vincenti.

L’affinità con il Sig. Corradeghini ormai é conosciuta da tutti i miei lettori: uno sguardo, ci capiamo. Il Sig. Bongi Tomà prende le tue richieste, note e raccomandazioni alla lettera – se gli chiedi che le foto siano incise, non ti molla finché non gli dai quello che ti chiede – che gli hai chiesto…. Vabbè avete capito. Il Sig. Gusso é un’instancabile macchina da guerra: mentre parlavo con il direttore creativo o con il cliente (uniche persone a cui viene permesso di vedere le foto sul set) potevo allungare il braccio lasciando andare la macchina senza guardare per ritrovarmi magicamente una bottiglia d’acqua in mano; la mia ombra.
A queste persone sono infinitamente grato perché ogni volta mi permettono di concentrarmi sull’unica cosa che sappia fare.

Federico Gusso e Paolo Corradeghini ritratti di spalle da Sebastiano Bongi Tomà in Via Fiori Chiari a Milano per un servizio fotografico
Federico e Paolo ispezionano Via Fiori Chiari, Milano per il servizio fotografico

Queste persone alleviano il peso e lo stress che un fotografo professionista inevitabilmente sente durante qualsiasi lavoro. A giochi finiti nessuno si ricorderà se durante il servizio ci sono state difficoltà non imputabili a nessuno, come ad esempio una giornata di luce piatta, o se un modello o qualcuno dell’entourage non sia riuscito a dare il proprio contributo… nessuno si ricorderà nulla, non ci saranno scuse: o la foto funziona o il fotografo non é stato bravo. Punto e basta. Se volete saperlo, a conti fatti, credo sia giusto così.

Qualcuno nell’arena ci deve entrare e prendersi la responsabilità del successo come della sconfitta:

It is not the critic who counts; not the man who points out how the strong man stumbles, or where the doer of deeds could have done them better. The credit belongs to the man who is actually in the arena, whose face is marred by dust and sweat and blood; who strives valiantly; who errs, who comes short again and again, because there is no effort without error and shortcoming; but who does actually strive to do the deeds; who knows great enthusiasms, the great devotions; who spends himself in a worthy cause; who at the best knows in the end the triumph of high achievement, and who at the worst, if he fails, at least fails while daring greatly, so that his place shall never be with those cold and timid souls who neither know victory nor defeat.

Theodore Roosevelt  – La Sorbonne / Parigi 1910

Del resto il post l’ho aperto con un titolo importante, quindi ho dovuto mantenere i toni abbastanza alti con questa citazione.

Finita la o le giornate di shooting si passa all’editing. Il fotografo apporta una prima scrematura delle immagini che poi vengono girate al direttore creativo il quale ha l’importante compito di selezionarne più di una manciata da sottoporre al cliente. Queste immagini avranno una post-produzione detta “base” che di fatto però é molto più avanzata di quanto un qualsiasi altro fotografo apporterebbe ai i propri scatti portfolio. Queste immagini sono tutto! Dettano la riuscita o meno del lavoro; dettano il futuro lavorativo del fotografo. Ricordate? Niente scuse, niente sconti. Sei bravo quanto il tuo ultimo lavoro.

A questo punto le opzioni sono due: o le immagini scelte verranno post-prodotte da un’agenzia oppure lo farà il fotografo ed il suo team in stretto collegamento con lo studio del direttore creativo.

Nella moda così come nella pubblicità per post produzione s’intende un complesso lavoro di montaggio spesso tra più foto per poter sistemare un volto, un braccio, il corpo intero di uno, due o tutti i modelli assieme, così come la necessità di estendere i fondi sulla base di immagini contributo prese durante il servizio (come, non ve ne avevo parlato?) per poter adattare l’immagine a tutti i formati di stampa del cliente. Il budget per post-produzione deve essere sufficiente a coprire le spese per gli ettolitri di caffè necessari a tenere sveglio il post-produttore, così come le mance per chi consegna le pizze ad orari improbabili. Parlo, nel mio caso, di sveglie alle cinque del mattino per essere in studio alle 6 e rientrare alle 4:30 … del mattino dopo… per più e più giorni per poter rispettare i differenti step di consegna.

Fatta la foto si post produce e si consegna? Hmmm no. Le immagini devono dare determinate garanzie di resa in stampa quindi spesso saranno necessari almeno due round di stampe certificate.

Una foto, una singola foto può essere scattata ad 1/250 di secondo ma per arrivare a scattarla ci vogliono settimane di intenso lavoro prima ed altrettante dopo per poterla consegnare con successo al committente.

Ammetto di essere una persona insicura, apprensiva e spesso dubbiosa in merito alle proprie capacità fotografiche quindi durante un lavoro, più o meno importante, attraverso il mio personale campo di battaglia. Ho paura di essere ferito o lasciarci le penne, ho momenti di indecisione, ma alla fine il mio obbiettivo é uno solo: vincere, ossia soddisfare il cliente.

Elmetto ben allacciato mi spingo fin dove sarà necessario per raggiungere quello scopo schivando i duri colpi dell’autocritica.

Arriva, poi, un momento in cui tutto si ferma. Arriva la sera successiva alla consegna e chiusura ufficiale del lavoro. Sono sdraiato nel mio letto, stranito dal silenzio che mi circonda, dall’assenza di adrenalina.

Sospiro e penso: “e adesso?”

Siamo una razza strana, durante la battaglia spesso ci lamentiamo e disperiamo, non vediamo l’ora di consegnare e tornare a correre nei boschi lontani da macchine fotografiche, monitor calibrati ed infinite telefonate con i collaboratori. Eppure, alla fine, non ci sentiamo mai così vivi come in battaglia.

 

Foto di Sebastiano Bongi Tomà

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