[consiglio la lettura ascoltando “Step Out” di José Gonzàlez – The secret life of Walter Mitty]
Le endorfine sono un gruppo di sostanze prodotte dal cervello, nel lobo anteriore dell’ipofisi, classificabili come neurotrasmettitori. Dotate di una struttura peptidica e di proprietà analgesiche e fisiologiche simili a quelle della morfina e dell’oppio, presentano tuttavia una portata ben più ampia rispetto a queste ultime.
Con l’espressione Runner’s high (letteralmente “sballo del corridore”) si intende la sensazione di euforia, simile a quella derivante dall’assunzione di certe sostanze stupefacenti, riscontrata da molti atleti durante la pratica sportiva prolungata.
Endorfine e sport, ok fin qui vi risulta chiara la relazione tra le due, ma con la fotografia?
Ultimamente posso aspirare giusto alla qualifica di runner della domenica dato che nei mesi scorsi non sono riuscito a mantenere un ritmo costante di uscite… bada bene che non ho detto “ritmo d’allenamento” e se avrete la pazienza di proseguire con la lettura, capirete. Quindi non ho la presunzione di tirare in ballo l’intera categoria di runners bensì parlo per me stesso, per mia personale esperienza che oggi condivido con voi.
Ho scoperto il piacere di correre quando avevo 16 anni, dopo aver smesso con le gare di sci e le arti marziali. Correvo lungo il fiume Isarco a Vipiteno, e più correvo, più ne sentivo il bisogno. All’epoca non sapevo nulla di endorfine, runner’s high ecc, semplicemente stavo bene per i fatti miei portandomi dietro amici come i Guns’n’Roses, U2 e Blues Brothers.
Poi ci siamo trasferiti: nuovo terreno, nuovo panorama e nuovi amici (non compressi in una cassetta) da frequentare in un mondo reale, ma soprattutto patente di guida ed altri svaghi (no, non mi sono mai drogato) quindi la corsa é (temporaneamente) rimasta lungo un sentiero altoatesino.
Dato che lo sport però é parte del mio DNA dopo qualche anno ho iniziato a fare triathlon ma correre non era più un piacere, bensì un allenamento con tabelle, tempi, prestazioni e palle varie e di nuovo mi son fermato.
Vi sento già russare quindi fast-forward a circa quattro anni fa: papà, fotografo, bollette, affitti, ansia… scambia la voce “fotografo” con ingegnere / idraulico / astronauta e diventa una faccenda che tutti conosciamo.
Un amico fraterno che purtroppo non posso più chiamare “cognato” mi porta a correre sui sentieri che abbiamo letteralmente dietro casa. Lui lo fa da tempo e ad alti livelli con corse che superano facilmente i 100k (no, non ho messo uno zero di troppo) ma a me si apre un mondo o, meglio, io inizio a capire chi sono e cosa desidero dalla vita.
Scopro il trail-running abbandonando all’istante l’ansia da prestazione, le tabelle, il cronometro ed il cardio (questi ultimi due li uso ancora ma solo per ricordarmi che prima o poi devo tornare a casa e, a 42 anni cercare di non lasciarci le penne su una scalinata di 700 gradini da Punta Corvo a Montemarcello).
Scopro che desidero la vita semplice, il profumo del bosco umido, le fragole con lo yogurt, la birra come integratore in piazzetta a Tellaro con gli amici sinceri. Scopro che più corro più le endorfine mi aiuteranno a capire meglio la vita e me stesso.
Mentre corro riesco a concentrarmi sul lavoro, su una foto che devo prima vedere nella mia mente per poi scattarla; mi concentro sui problemi cercando soluzioni e a volte semplicemente ritrovo fiducia in me stesso, ottimismo e pazienza.
Come si dice in inglese: let’s cut the bullshit e sarò onesto, ho passato un 2017 terribile sia dal punto di vista lavorativo, sia familiare – ma a quanto pare nel 2018 qualche pianeta sfavorevole al segno dei Pesci si leverà dalle palle. Mio padre dice che queste cose me le devo tenere per me e che un cliente deve “credere” che faccia una vita da super eroe, altrimenti potrebbe affidare il lavoro ad altri solo per una questione di “vibrazioni positive/negative”. Io invece penso che se un cliente sa che sono sopravvissuto a tutto questo, se son qui che sorrido ancora, cazzo (si ho scritto cazzo, é il mio blog) allora forse ho le palle per fare qualsiasi cosa, l’entusiasmo e la forza per produrre grandi immagini. Il mio é un lavoro creativo, e la creatività é frutto di profonda riflessione, duro lavoro, perseveranza e si… endorfine! Ergo, correre mi rende un fotografo ed una persona migliore.
Corro per i boschi con il sogno di correre sempre più lontano e più in alto, ma mai e poi mai corro per allenarmi. Se vedo un raggio di sole che si fa spazio tra i rami per tingere d’oro i sassi, se la nebbia invernale fa quel magico gioco del vedo non vedo come la scollatura di una bella ragazza, io mi fermo senza sensi di colpa o senza fermare il cronometro, per fare una fotografia. Se sono stanco o ho fame, mi fermo e mangio. A volte mi fermo solo per godermi il paesaggio e quando rientro a casa sono in uno stato di totale euforia, sono in assoluto contatto con me stesso e con la vita. Tutto assume toni più chiari, la vita é più chiara.
La cosa bella é che questo “rush” lo vivo anche quando scatto una fotografia. Attenzione, non pecco di presunzione, anzi io sono uno abbastanza insicuro (o poco consapevole delle mie capacità) ma quando lo scatto é come lo volevo, quando la scelta dei colori, le sfumature, le ombre ed il sapore della foto che avevo nella mia testa si materializzano sotto forma di pixel sul mio monitor, allora mi sento in perfetto equilibrio con l’universo. L’emozione fotografica é un po’ come la prima fase dell’innamoramento: é un complesso processo chimico nel lobo anteriore dell’ipofisi che le menti più illustre in ambito scientifico parafrasano in farfalle nella pancia.